Piccoli brividi da lettura
horror, letteratura per l'infanzia Tagged Piccoli brividi, Stin Marzo 28th, 2009Nelle discussioni che sono avvenute in parte in classe e in parte su questo blog è emerso come la lettura possa spesso fungere da vettore per emozioni forti quali la paura e del fascino che queste emozioni sembrano esercitare su adulti e bambini. Alcuni di voi hanno citato, tra i libri di avventura della propria infanzia, la collana “I piccoli brividi”. Si tratta di una collana nata negli Stati Uniti con il nome originario di Goosebumps (vale a dire “pelle d’oca”) composta da testi di R. L. Stin la cui prima pubblicazione (Welcome to Dead House) risale al 1972 ed è stata pubblicata in Italia con il titolo La casa della morte due anni più tardi. Il successo di questa serie è evidente: 61 volumi pubblicati nella prima serie (fino al 1999) e un’altra ottantina circa con la seconda serie (dal titolo Serie 2000).
Come spiegare questo interesse crescente per un genere letterario (l’horror) tradizionalmente escluso dalla produzione per l’infanzia? Valentina Paggi, nel suo saggio Quella fune sottile per Tarabithia. Raccontare la morte oggi, pubblicato in Contare le stelle. Venti anni di letteratura per ragazzi (CLUEB, 2007) sostiene una tesi interessante secondo cui questi libri assumono una funzione particolare nella nostra società in cui la morte, nei suoi aspetti più fisici e concreti, viene sistematicamente allontanata dalla dimensione di esperienza. I giovani lettori troverebbero nell’horror il materiale mancante attraverso il quale esorcizzare la morte e le paure ad essa legate e con il quale soddisfare, d’altro canto, il gusto della trasgressione che costituisce un importante aspetto evolutivo.
L’horror dunque come possibilità per riappropriarsi di un’esperienza negata? Cosa ne pensate?
Per terminare segnalo un’interessante intervista trasmessa da Lilliput (programma radiofonico dedicato ai libri per l’infanzia della RSI) in cui la psicoterapeuta Luisella Zucaro parla delle paure dei bambini e di come i libri rappresentino a volte un mezzo per affrontarle.
Marzo 28th, 2009 at 22:14
se posso permettermi un commento…
direi che se i piccoli brividi non avessero avuto le pagine fosforescenti e gli adesivi mostruosi ne avrebbero venduto un decimo delle copie!
Qualche anno fa una classe mi convinse a leggerne uno ad alta voce, si pentirono presto e mi chiesero ripetutamente di terminare la lettura prima della fine del libro.
Ho letto solo 3 o 4 piccoli brividi e li ho trovati tutti deludenti, penso che ci siano libri per bambini e ragazzi di paura più coinvolgenti e di miglior qualità!
Un paio di esempi? Tra gli italiani: per piccoli il curioso “Casapelledoca” di Beatrice Masini, per più grandicelli (ma non troppo) “Una mano bianca nel lago nero” di Chiara Rapaccini (che costa pure meno di 3 euro).
Tra gli stranieri volete mettere Paul Van Loon con Robert L. Stine?
Infine un commento all’affermazione “Come spiegare questo interesse crescente per un genere letterario (l’horror) tradizionalmente escluso dalla produzione per l’infanzia?”
cosa c’è di più horror delle fiabe classiche??
Sono tremende! Abbiamo dovuto far sparire la collana “fiabe da ascoltare” della fabbri dalla cameretta delle bimbe!
Marzo 29th, 2009 at 08:50
Grazie Andrea per il tuo contributo. Concordo pienamente sul fatto che il successo de “I piccoli brividi” sia anche il frutto di una strategia di mercato e sulla perplessità circa la loro qualità. Resta il fatto che il genere ha conosciuto un grande successo di vendite anche nella narrativa per l’infanzia (agli autori che citi tu si possono aggiungere anche Christopher Pike con Monster e L’ultimo vampiro, Angela Sommer-Bodenburg con Vampiretto e Donatella Ziliotto con Paura! Racconti col brivido).
Per finire: pertinente anche la tua osservazione circa la presenza dell’horror nelle fiabe classiche; non va dimenticato tuttavia che esse originariamente prevedevano una modalità di trasmissione prettamente orale che consentiva una mediazione più marcata, soprattutto grazie alla presenza fisica (ed emotiva) dell’adulto.
Maggio 5th, 2009 at 23:56
Mi intrometto anch’io piacevolmente su questo blog. Prima di tutto mi rallegro con Francesca per il decollo dell’iniziativa, che mi pare davvero ottima. Poi entro nel merito dell’argomento qui proposto con alcune riflessioni molto personali.
Concordo con Andrea riguardo all’”orrorificità” delle fiabe classiche: basta sfogliare la raccolta dei Grimm per farsi venire la pelle d’oca e più di qualche dubbio sull’effetto che simili racconti dovevano fare sui bambini, direi a maggior ragione con la mediazione “drammatizzante” dell’adulto. Se provo a immaginarmi bambino seduto davanti al focolare di una casa di campagna, con davanti ai miei occhi un vecchio narratore che racconta Hansel e Gretel con voce roca e sussurrante, beh, credo che dire di “avere la pelle d’oca” sarebbe solo un eufemismo. Me la farei sotto (punto e basta).
Quanto al successo di simili collane orrorifiche, sono diviso tra due opinioni in parte contrastanti tra loro. Da un lato, credo che abbia ragione Andrea ad assegnare un ruolo fondamentale all’iniziativa commerciale che in molti casi maschera sotto uno spesso strato di belletto un prodotto di scadente qualità linguistico-narrativa. Dall’altro lato, sono portato a credere che l’orrore e la paura esercitino ancora il loro fascino, ma mi chiedo se siano veramente queste due emozioni a essere veicolate da questi libercoli.
Parentesi molto autoreferenziale: da bambino (al tempo della SE) ero letteralmente terrorizzato dal buio, dagli esseri fantasmatici che si annidavano sotto il mio letto la notte, dai vampiri che picchiettavano sui vetri delle finestre dopo la mezzanotte, dagli zombie che mi aspettavano dietro la porta del bagno, e da tante altre amenità simili (come le dita gelide che mi sfioravano la schiena durante il sonno). A quell’epoca, per me, sentire un racconto di paura equivaleva ad assicurare ai miei genitori almeno una settimana di insonnia… per fotuna la mia brava maestra non era avvezza a questo tipo di letture, dunque i danni venivano per lo meno limitati.
Sta di fatto che, superata quella fase critica, più o meno ai tempi delle medie/inizio liceo, mi scaraventai sui libri dell’orrore, a cominciare da quelli di Stephen King (e qui un lettore di questo blog avrà un moto d’orrore; ma ne possiamo riparlare, vero Michele?) e ne divorai in quantità. La mia passione vera per la lettura nacque così. Non credo che la paura atavica che mi faceva spalancare gli occhi la notte alla ricerca delle ombre più nere e ciò che accadde dopo siano cose slegate tra loro (la paura che esorcizza la paura? Penso proprio di sì).
Ultima riflessione (ancora più autoreferenziale e autopromozionale; chiedo scusa a Francesca me nelle pagine del blog non c’è divieto di farsi pubblicità Fra qualche mese uscirà il mio primo libro di narrativa per ragazzi, proprio in una collana all’apparenza simile ai “Piccoli brividi”, cioè nella serie “Vampiri” della collana “Gli irresistibili” (http://vampiri.raffaelloragazzi.it/) della Raffaello Editrice. Si tratta di un racconto che più che horror è horror-demenziale, che però non lascia in secondo piano l’aspetto narrativo e linguistico. Ma mi rendo conto che non faccio una gran bella figura a tesserne le lodi. Diciamo che ne riparleremo dopo la pubblicazione, quando qualcuno di voi avrà la bontà di dirmi se cio è vero, o se è solo un abbaglio dell’autore.
In definitiva, credo che il filone horror (e horror-demenziale) sia oggi forse un po’ troppo inflazionato, ma che al suo interno si possa trovare ancora qualcosa di buono per trasmettere il piacere di leggere a bambini e ragazzi, con un occhio di riguardo per la storia e per la lingua, e dunque senza puntare tutto sulla “confezione”.
Ciao, alla prossima!