Apprendere, formarsi, comunicare ed essere critici con le ICT
Do you remember?
Sulla “Regione” del 23 settembre 2009, Giorgio Mainini, già direttore di Scuola Media, scrive una lettera aperta dal titolo “Riapriamo il dibattito sulla scuola“.
Mainini sottolinea anche come le ICT possano modificare l’odierno modo ticinese di far scuola, migliorandolo e adattandolo alle attuali esigenze sociali, nonché venendo incontro alle competenze degli allievi - “nativi digitali” – che usano massicciamente le ICT non ritrovandole che omeopaticamente nella scuola odierna, eccezioni a parte.
Mainini cita pure uno scritto (Nuove tecnologie informatiche nella scuola) del 2001 nel quale il sottoscritto ed altri autori cercavamo di perorare la causa dell’integrazione delle ICT (vedi). In questo formulavamo proposte operative – disattese – e indicavamo delle proposte di inquadramento, di politica scolastica, pure disattese, almeno finora. Le ribadisco di seguito:
- elaborazione di una precisa strategia cantonale, realistica ma vincolante, da un lato per la sperimentazione, dall’altro per l’aggiornamento di tutti gli operatori scolastici nella nuova didattica, con la relativa determinazione di spazi, contributi, scadenze, se necessario anche con l’adozione di misure (in positivo e in negativo) nei confronti di quadri (funzionari, esperti, direttori, consulenti, …) e docenti;
- creazione di una struttura di formazione degli insegnanti e dei quadri, nella direzione volta a considerare l’uso delle ICT una chiave universale per la concezione di una scuola “ (…) che fornisca al ragazzo la capacità di orientarsi nel mondo in cui vive, per fare scelte personali ragionate; che gli insegni non migliaia di nozioni, ma la tecnica per imparare e assimilare quelle che davvero gli serviranno; che gli spieghi come si argomenta, come si progetta, come si pone una domanda sensata; che gli fornisca una maturità di pensiero tale da consentirgli di riconoscere il valore imprescindibile della tradizione storica, e lo ponga in relazione con la contemporaneità e con il contesto culturale e sociale; che gli dia una formazione scientifica certa e accettabile.” (Ignazio Contu);
- imposizione dell’acquisto di apparecchiature equivalenti, da parte del Cantone, a tutti i Comuni per le SE, se del caso con adeguati sussidi, per ovviare al formarsi di una “scuola comunale” troppo dipendente dalle capacità finanziarie e dalle sensibilità dei Comuni.
Le proposte secondo me sono ancora attuali, benché da adattare, anche alla luce della scarsa valutazione ricevuta dalla scuola ticinese nell’ambito dell’integrazione delle ICT, vedi precedente post. Remember…
24 Dicembre 2009 - 11:16
Oggi le sfide della scuola sono ben diverse da quelle di un tempo, ma altrettanto ardue.
Nelle società industrializzate si devono superare le difficoltà nell’orientamento dei giovani, i problemi d’inserimento professionale di massa, l’analfabetismo di ritorno, ecc.
Naturalmente neppure il Ticino è un’oasi senza problemi: la qualità dei diplomati delle scuole dell’obbligo è in calo e vi è un’eccessiva licealizzazione, che svantaggia l’apprendistato.
Ma oltre a questi problemi, la scuola odierna deve confrontarsi con una società sempre più tecnologica. Quest’ultima può scoprire praticamente ogni tipo d’informazione in rete; magazzino di dati e notizie estremamente più ricco di qualunque insegnante stesso o enciclopedia, ma qualitativamente non sempre attendibile.
Per questo motivo, ritengo che un compito primario, della scuola media e delle scuole medio superiori, sia quello di aiutare gli allievi a destreggiarsi nel mondo tecnologico coscienziosamente. Quest’abilità infatti, nonostante gli alunni di oggi sono da considerarsi tutti nativi digitali (poiché nati a partire dal 1990), non è direttamente acquisita, ma deve essere assimilata da tutti gli allievi grazie a delle opportune lezioni. Per fare in modo che la scuola sia in grado di formare persone capaci di prendere decisioni autonome e coscienti, questo insegnamento è basilare.
È evidente che affermare la necessità di dare alla scuola una missione diversa, più formatrice, non può che comportare difficoltà. Ma se ciò non dovesse avvenire si corre il rischio che i contenuti da insegnare saranno sempre più distaccati dalla realtà. Se la scuola non riuscirà a compiere questa grande evoluzione, non sarà più, purtroppo, quest’ultima ad educare e formare i suoi cittadini, perché essa perderebbe credibilità. Così sarà sempre di più il mondo extrascolastico a farlo, senza quel senso civico ed etico che, nell’educazione, deve rimanere sempre presente e ben solido nella pratica quotidiana. Per soddisfare queste nuove pretese l’istituzione scolastica deve saper aggiornarsi poiché la nostra società continua ad evolversi, proprio come diceva già Stefano Franscini nell’800.
Ma come riuscire in questa missione? Come far capire agli alunni i grandissimi vantaggi dell’utilizzo dei mezzi informatici, rendendoli però anche attenti alle insidie che questi potrebbero nascondere? Innanzitutto ritengo che le ICT non debbano mai venir demonizzate, infatti esse, se usate correttamente, dimostrano di essere utilissime in qualunque campo, pure un’opportunità da non perdere per l’insegnamento. Ad esempio la lavagna interattiva, nelle classi in cui viene utilizzata, ha dimostrato di essere molto proficua. Un altro argomento a sfavore di una completa riluttanza nei confronti delle ICT è il fatto che qualsiasi intervento troppo estremo rischia poi di ottenere un effetto indesiderato, come quello di istigare alla trasgressione.
Secondo me, per insegnare un giusto approccio a qualsiasi tipo di tecnologia, è indispensabile che gli insegnanti (gli immigrati digitali e specialmente quelli che non lo sono nemmeno) imparino correttamente e al più presto il linguaggio che i nativi digitali hanno sviluppato utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione. Oggi infatti, a partire dal secondo ciclo della scuola elementare, sembra quasi impossibile insegnare mediante modalità tradizionali, poiché queste non riescono più a catturare l’interesse degli allievi, ormai abituati alle grandi opportunità che offrono i nuovi media. Ad esempio, in una società che grazie ad un “clic” riesce a collegarsi con il mondo intero, troverei veramente assurdo non proporre alle lezioni fatte in classe di “uscire dall’aula”, magari tramite pubblicazioni su blogs, nei quali potrebbero poi intervenire altre classi.
Ritengo però necessaria un’ennesima riflessione. Nell’euforia che le innovazioni tecnologiche degli ultimi tempi potrebbero suscitare, trovo importante sottolineare che, ad esempio nella nostra realtà ticinese, i passi verso un’educazione alle ICT, specie quelli costruiti proprio con il loro uso, dovrebbero essere compiuti allo stesso livello per tutti. Non trovo pertanto giusto che certe sedi ticinesi usufruiscano già di lavagne interattive quando in altre, forse esagerando, non vi sono neppure i soldi per acquistare un nuovo lettore cd. Tutti gli allievi delle scuole pubbliche dovrebbero avere la possibilità di godere delle stesse opportunità. Per questo motivo sarebbe necessaria una migliore distribuzione degli aiuti finanziari da parte dello Stato, ma visto che questi purtroppo sono sempre più esigui, credo però che, nonostante le ICT, come dimostrato, hanno un ruolo rilevantissimo nella nostra società, che la priorità vada comunque ai servizi come il sostegno pedagogico, la logopedia, le mense, i doposcuola, ecc.
In conclusione vorrei precisare che l’utilizzo dei nuovi media non è da vedere come un cambiamento radicale dell’insegnamento, ma come completamento di questo e come opportunità per migliorare l’apprendimento degli allievi. Non a caso quest’ultimi esigono dalla scuola le medesime pretese di sempre: vogliono imparare a crescere e a saper agire in maniera responsabile non trascurando però l’istruzione basilare.