Web2.0 è comunità sociale; è condivisione di dati, di idee e di gusti.
Oggigiorno sembra risulti più facile cercarsi in modo virtuale in siti di “social network” che in un bar, in una piazza o per il tramite di un’associazione. Forse perché abbiamo meno tempo a disposizione e lo spostarci diventa complicato. O, forse, perché la tecnologia del web2.0 ci mette a disposizione un’identità virtuale, mascherata e meno onerosa da gestire, almeno sul piano personale.
Facebook, uno dei social network più gettonati nel campo del web2.0, ha come slogan “Un servizio sociale per rimanere in contatto con le persone attorno a te”. L’impressione è che grazie a siti come Facebook si rimane davanti a un computer e ci si isola. Ma, non è questa l’impressione delle migliaia di utenti di questo social network che cresce esponenzialmente: certifica oltre 60 milioni di utenti. 60 milioni di coglioni – afferma T. Hodgkinson del “The Guardian” – che hanno fornito i loro dati anagrafici e preferenze d’acquisto a un’azienda di cui non sanno nulla. Ed è qui il problema. Dietro questa società, esiste un gruppo di persone, “neocon” che credono nei valori conservatori, nel libero mercato e in un governo con funzioni ridotte al minimo. Niente di strano, per carità. Anche alle nostre latitudini esistono persone che professano queste linee politiche. Per fortuna non hanno investito nel web che in questo caso viene visto come un sistema a favore del libero commercio e per la libertà dei rapporti umani e degli affari. Libertà che infatti trasforma il concetto di “condivisione” in “fare pubblicità”. Per rendere attenti i potenziali utenti di Facebook si consiglia di leggere attentamente come la privacy viene trattata: “Faremo pubblicità”, “Non potete cancellare niente”, “Chiunque può sbirciare le vostre confessioni”, “La nostra pubblicità sarà irresistibile”, sono tra le linee direttrici del sito. Uno spasso per chi non ha idee ma cerca di condividerle.