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Web2.0, “Social network” e ricerca

Appare sempre più evidente e promettente il ricorso alle reti di “Social network” e, soprattutto, agli strumenti di condivisione delle informazioni a essi associati (web2.0). I servizi e gli strumenti promettenti sono molti: cito, senza essere esaustivo, blog, podcasting, flussi RSS, wiki, social bookmarking, tagging. Gli utenti di questi servizi/strumenti aggiungono valore all’informazione, facendo emergere quella interessante e utile nei vari contesti di riferimento (”crowdsourcing“).

Gli studenti attualmente inseriti nel percorso formativo universitario usano in modo massiccio questi servizi, nell’ambito delle loro attività comunicative e sociali private, nonché nell’ambito di apprendimento/ conoscenza. La loro diffusione avviene in modo non guidato – dal basso – e conduce a pratiche sociali e culturali che si affermano senza guide né politiche. Questi servizi possono anche essere proficuamente impiegati per l’apprendimento non formale. L’apprendimento non formale si sviluppa all’interno di un contesto strutturato e organizzato, progettato come insegnamento. Questo conduce a una forma di riconoscimento. Dalla prospettiva dello studente l’apprendimento formale individua un processo intenzionale.

L’intersezione tra uso delle reti/servizi del web2.0 e apprendimento non formale identifica una riserva di sapere e una fonte di innovazione metodologica nel campo dell’insegnamento formale e dell’apprendimento individuale.
La scuola (settore terziario) e l’amministrazione pubblica e privata iniziano a interrogarsi sulle potenzialità dell’uso di questi servizi/strumenti.
Il loro impiego nei contesti universitari e amministrativi pone tuttavia quesiti in merito ai dati sensibili che circolano in queste reti, al loro impiego e riutilizzo, nonché al tempo di consultazione effettuato in ambito lavorativo.

Per approfondire le potenzialità del tema qui discusso, mancano tuttavia delle direttrici di ricerca che sappiano dare indicazioni circa:

  • la definizione di un modello di analisi dei punti di forza e dei punti critici nel contesto dell’apprendimento non-formale;
  • l’analisi quantitativa e qualitativa della diffusione di questi servizi/strumenti intra ed extra-campus;
  • l’identificazione delle condizioni e delle funzionalità insite nella collaborazione in rete e utili a potenziare gli ambienti di apprendimento;
  • l’identificazione delle tipologie d’utilizzo critiche;
  • l’identificazione delle fonti legislative, dottrinali e giurisprudenziali che farebbero da riferimento all’impiego di tali servizi/strumenti.

I webattori: la base del web2.0

La definizione – mutuata dal francese e proposta da Pisani-Piotet (2008) – identifica l’insieme degli utenti di internet che, oltre a consultare le informazioni sul web, ne inseriscono di nuove, sia come risposte a precedenti (blog, comunità sociali, altre), sia come contenuti multimediali.
Questo post ha lo scopo di aiutare a identificare questa tipologia di utenti che è alla base del web2.0.
Si può affermare che oggigiorno oltre il 60% dei contenuti del web è inserito da questi webattori. Essi condividono parte delle loro informazioni grazie a servizi o strumenti che saranno presentati in seguito. Sono contemporaneamente consumatori/creatori, lettori/scrittori, ascoltatori/registi, spettatori/produttori. Le informazioni da loro inserite sono etichettate tramite dei “tag”; così facendo queste risultano organizzate in insiemi (ri)modellabili.
Si potrebbe affrontare il tema da diversi punti di vista: da quello dei nativi digitali che vivono il web2.0 in modo acritico, a quello delle imprese che lo sfruttano (limitatamente a quelle che l’hanno compreso), passando per la diminuzione dei costi dell’informazione e al suo corollario, la disponibilità degli esperti. Mi limito a segnalare il modello del plus-valore delle informazioni prodotte dai webattori, rimandando a altri post altri approfondimenti sul tema.

Se – come afferma O’Reilly -, i webattori aggiungono valore all’informazione, facendo emergere una saggezza, perché non utilizzare questo loro lavoro in modo diretto, organizzato e gratuito, come plus-valore? Questo modo di vedere il lavoro dei webattori è definito con il termine di “crowdsourcing” che, tradotto, potrebbe suonare come l’ “esternalizzazione delle produzioni delle moltitudini”. Si ispira a due termini – “outsourcing” e “wisdom of crowds” (esternalizzazione e saggezza delle moltitudini) ma va oltre questi (vedi la corrispondente voce di wikipedia). Grazie a questo plus-valore e a regole qui non dettagliate, emerge la qualità dell’informazione e si elimina il superfluo e il poco valido. Una dimostrazione di questo, in due ambiti diversi tra loro, lo possono pragmaticamente dimostrare wikipedia e flickr. Nel primo, la qualità degli interventi è controllata dai webattori, esperti nel campo, che correggono e commentano; nel secondo, dalle fotografie di qualità che emergono dalla massa e che sono mostrate tra le 500 migliori del giorno (vedi explore).
Su questo nuovo meccanismo che apre nuovi paradigmi, si dovrà riflettere. Troppe sono ancora le incertezze. Le analisi dei siti di web2.0 che sfruttano intensivamente il “crowdsourcing“, ci daranno delle risposte.