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Tra copyright e copyleft

TED1Per i nativi digitali (i nostri allievi di oggi e di domani) la tecnologia è lo strumento quotidiano che permette loro anche di accedere alla cultura in modo individuale (non formale) e di potenziare la loro creatività.
Questo significa tuttavia passare attraverso fruizioni personali di contenuti che sono protetti da copyright, scaricati da internet. Per questo modo di procedere, i nativi digitali, non osservando le regole, potrebbero anche essere criminalizzati (vedi legge attuale sul “peer ti peer”).

Per entrare nel merito del tema che tocca le ICT, la cultura e la legislazione, invito a guardare una presentazione di Larry Lessig (clic sull’immagine) che presenta il tema (è possibile scegliere una sottotitolazione in varie lingue).
Sono d’accordo con molti dei punti di Lessig, che trattano di diritto e di cultura. Questo discorso è iniziato da poco e deve protrarsi grazie al dialogo e tramite discussioni. Ha grandi implicazioni per le persone che utilizzano il web come una risorsa – tra cui appunto i nativi digitali – per le parole, le immagini, i media e per le presentazioni.

Lessig è un eccellente conferenziere. La sua presentazione è piuttosto lunga – 19 minuti – ma passa in fretta, segno distintivo di ottima qualità comunicativa.

Twitter nella didattica

twitter_logo_headerDa alcuni mesi uso Twitter.
Da quando l’ho conosciuto mi è apparso come canale di comunicazione interessante, con potenzialità varie, applicabili anche nella didattica.
Utilizzandolo in modo sperimentale, a 360 gradi, mi accorgo che questa giudizio  intuitivo era pertinente. Apprezzo sempre più questo servizio che è diventato uno dei miei canali informativi preferiti.

Seguendo un corso in rete della GaramondInsegnare e apprendere con i Social Network” ho appurato che, nei cfti di Twitter, le mie aspettative d’impiego a livello didattico sono condivise.
Di seguito riassumo i potenziali impieghi nella didattica (tratto Twitter for Academia, tradotto da Caterina Policaro, mia tutor online sul tema):

  • comunità di classe:Una volta che gli studenti hanno cominciato a twittare, hanno sviluppato un senso dell’altro come persona al di là del ristretto spazio temporalmente condiviso della classe, dell’aula,…
  • Il senso del mondo che ci circonda: “Alcuni studenti guardano spesso e volentieri la  Public Timeline di Twitter che è la pagina dove vengono postati tutti i messaggi pubblici che passano su Twitter. Il tasso di rumore di fondo qui è altissimo, ma ci dà il senso della varietà delle persone e della gente di tutto il mondo...”
  • Tenere traccia di un termine, di una parola, di una conferenza: “Attraverso Twitter è possibile tenere traccia/ “track” parole e termini sottoscrivendo poi il feed a tutti i post contenenti quella determinata parola…”
  • Feedback istantaneo: “Twitter è sempre connesso, e ti invia i messaggi anche sul telefonino, è quindi ottimo per ricevere feedback immediato…”
  • Seguire un esperto: “Gli Studenti possono seguire altre persone su Twitter, che trattano argomenti di loro interesse…” Questa possibilità è molto apprezzata e sfruttata da chi scrive.
  • Grammatica e scrittura basata su regole: ” È sorprendente come Twitter possa essere ottimo come ausilio per insegnare la grammatica. Perché? la forma breve che costringe ad utilizzare regole grammaticali abbreviate e/o ad abusare della grammatica piegandola nei 140 caratteri disponibili…”
  • Massimizzazione del momento didattico: “È spesso difficile insegnare in determinati contesti limitati spazialmente e temporalmente, Twitter ti permette di farlo al di là dei limiti spazio/temporali della lezione.”

Quindi, se non avete ancora un account Twitter, pensateci. Evidentemente, una volta aperto un account su Twitter, ci si deve applicare, provare, approfondire. Gli apprezzamenti e le intersezioni private e didattiche arriveranno, conseguenti.

Dimenticavo: il mio account su twitter http://www.twitter.com/mbeo | quello della SUPSI-DFA

I webattori: la base del web2.0

La definizione – mutuata dal francese e proposta da Pisani-Piotet (2008) – identifica l’insieme degli utenti di internet che, oltre a consultare le informazioni sul web, ne inseriscono di nuove, sia come risposte a precedenti (blog, comunità sociali, altre), sia come contenuti multimediali.
Questo post ha lo scopo di aiutare a identificare questa tipologia di utenti che è alla base del web2.0.
Si può affermare che oggigiorno oltre il 60% dei contenuti del web è inserito da questi webattori. Essi condividono parte delle loro informazioni grazie a servizi o strumenti che saranno presentati in seguito. Sono contemporaneamente consumatori/creatori, lettori/scrittori, ascoltatori/registi, spettatori/produttori. Le informazioni da loro inserite sono etichettate tramite dei “tag”; così facendo queste risultano organizzate in insiemi (ri)modellabili.
Si potrebbe affrontare il tema da diversi punti di vista: da quello dei nativi digitali che vivono il web2.0 in modo acritico, a quello delle imprese che lo sfruttano (limitatamente a quelle che l’hanno compreso), passando per la diminuzione dei costi dell’informazione e al suo corollario, la disponibilità degli esperti. Mi limito a segnalare il modello del plus-valore delle informazioni prodotte dai webattori, rimandando a altri post altri approfondimenti sul tema.

Se – come afferma O’Reilly -, i webattori aggiungono valore all’informazione, facendo emergere una saggezza, perché non utilizzare questo loro lavoro in modo diretto, organizzato e gratuito, come plus-valore? Questo modo di vedere il lavoro dei webattori è definito con il termine di “crowdsourcing” che, tradotto, potrebbe suonare come l’ “esternalizzazione delle produzioni delle moltitudini”. Si ispira a due termini – “outsourcing” e “wisdom of crowds” (esternalizzazione e saggezza delle moltitudini) ma va oltre questi (vedi la corrispondente voce di wikipedia). Grazie a questo plus-valore e a regole qui non dettagliate, emerge la qualità dell’informazione e si elimina il superfluo e il poco valido. Una dimostrazione di questo, in due ambiti diversi tra loro, lo possono pragmaticamente dimostrare wikipedia e flickr. Nel primo, la qualità degli interventi è controllata dai webattori, esperti nel campo, che correggono e commentano; nel secondo, dalle fotografie di qualità che emergono dalla massa e che sono mostrate tra le 500 migliori del giorno (vedi explore).
Su questo nuovo meccanismo che apre nuovi paradigmi, si dovrà riflettere. Troppe sono ancora le incertezze. Le analisi dei siti di web2.0 che sfruttano intensivamente il “crowdsourcing“, ci daranno delle risposte.

Il web2.0: moda o tendenza?

Il web 2.0 è arrivato. Lo si nomina sempre più. Lo si considera come un nuovo modo di concepire i servizi di internet, in particolare il web.

Cos`è il web2.0? In poche righe una risposta è solo abbozzabile. Vediamo di dare alcuni elementi per poi, successivamente, approfondire l’argomento. Innanzitutto, l’internet e il web non sono da confondere. Il primo è la rete sulla quale “girano” molti servizi (tra cui la posta elettronica); il secondo è un’applicazione che permette di consultare informazioni navigando (browser) da un sito all’altro. Ed è qui che avviene il cambiamento dal web al web2.0. Gli utenti infatti passano dallo statuto di viaggiatori a quello di attori, grazie al miglioramento della tecnologia, sempre più trasparente ed ergonomica. Alcuni autori (F. Pisan, D. Piotet, 2008) parlano di “webacteurs” (da ora in poi mutuato in “webattori”). Questi utenti propongono contenuti, li commentano, interagiscono, creano comunità: rendono cioè i servizi e le informazioni più variegati e in forte e continua evoluzione. Questi “webattori” sono un sottoinsieme degli internauti che si implica maggiormente, che emerge e fa tendenza. Gli internauti consultano Wikipedia, loro scrivono e commentano le voci. La maggioranza degli utenti sfoglia foto e filmati in Flickr e Youtube, loro ne alimentano i contenuti. Creano comunità sociali in Myspace, Beebo ed altri ancora.

Diversi di questi Webacteurs dice la sua nei blog, come chi scrive. Ma, qual è la qualità di questi contenuti? Non si abbassa, privilegiata dalla voglia di mostrarsi? Quali sono i plus-valori di queste espressioni individuali, micro e frammentate?

Adolescenti in rete: tra amicizie, trasgressioni e rischi.

Da un’inchiesta effettuata dalla Doxa per l’associazione “Save the Children nel febbraio 2008 (scarica in .pdf), risulta che il 2/3 degli adolescenti italiani che usa internet entra nei servizi del web2.0 e rende disponibile un proprio profilo personale. Anche da noi, empiricamente parlando, questa è la tendenza. Questo sembra essere coerente con quanto precedentemente scritto e in linea con l’emergenza dei cosiddetti “webacteurs” , ma apre tuttavia una serie di interrogativi inerenti alla protezione dei dati personali e alla conoscenza dei rischi – potenziali ma esistenti – che si incontrano in siti di “social network” come facebook (vedi post) o Myspace. Qui non si vuole esagerare la portata del rischio per rapporto alle opportunità, ma si vuole sottolineare l’importanza di un’informazione corretta e trasparente su questi servizi e sulle leggi a cui essi fanno riferimento. Rapportarsi al web2.0 con conoscenza di causa appare oggigiorno assiomatico, per evitare i rischi personali e aumentare le possibilità comunicative.
Ma, a chi compete questa informazione? Alla scuola che deve una volta di più educare oltre che istruire? Agli enti che si occupano di prevenzione? Allo Stato e ai suoi Dipartimenti?
Da alcuni anni diverse iniziative in questo campo informativo sono disponibili; l’elenco sarebbe lungo. Preme sottolineare che il “target” a cui si rivolgono queste iniziative dovrebbe essere l’insieme dei docenti. In modo che questi possano – una volta informati e/o formati – integrare e proporre le informazioni ad allievi/studenti, secondo modalità scolasticamente pertinenti. Un’offensiva che vada in questo senso sarebbe opportuna. La Confederazione l’ha già positivamente attivata, creando guide e percorsi didattici (vedi). Per ora purtroppo solo in tedesco e in francese. Probabilmente poiché noi, della Svizzera italiana, non ci si è attivati a sufficienza sul tema, o forse perché il problema è meno sentito alle nostre latitudini, oppure perché abbiamo le idee in chiaro. À suivre…
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