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Competenze degli allievi per rapporto a strumenti ICT

Group of young laptop usersQuando i programmi scolastici saranno impostati in funzione delle competenze e non più degli obiettivi, il saper usare strumenti ICT (computer, periferiche e oggetti tecnologici) e servizi informatici (da Twitter a wikipedia, passando per Google), diventerà un fatto normale.

Un’avvisaglia di questa tendenza si intravvede in discorsi emergenti in cui le competenze sono sempre più considerate. Prendiamo per esempio l’idea avanzata all’interno della riforma dei  programmi della scuola primaria inglese (progetto Rose). Ne ha anche scritto Norberto Bottani in un suo post (vedi).
Riportiamo di seguito uno stralcio del suo scritto che interessa il nostro ambito, come stimolo di riflessione e fonte di discussione.
I temi attorno ai quali ruoterebbe la scuola primaria sarebbero meno rispetto alle classiche materie scolastiche.
In questa proposta inglese, le novità concernono l’insieme dei contenuti che…  è descritto in termini di competenze da conseguire entro la fine della scuola primaria. Il nuovo programma afferma che gli allievi dovranno, entro la fine della scuola primaria, sapere usare una tastiera di computer, consultare Wikipedia, utilizzare le applicazioni di comunicazione in rete come Twitter, redigere un testo con un’applicazione di trattamento di testo, utilizzare un correttore automatico dell’ortografia e della grammatica, consultare in linea i dizionari, gestire un blog personale, ecc.

Questo cambio di paradigma ci fa capire come questo discorsi di integrazione delle ICT e di valorizzazione delle competenze -  coscientemente o meno – siano ancora omeopatici nell’ambito della Scuola ticinese.

Google

Google è il ragno della Rete. In essa svolge una metafunzione: sapere dov’è il sapere. Dio non risponde mai; Google sempre, e immediatamente. Gli sottoponiamo un messaggio sgrammaticato e sintetico all’estremo; un clic e… bingo! La cataratta: il bianco accecante della pagina si annerisce d’improvviso, il vuoto si trasforma in pieno, la concisione in logorrea. Ogni volta si vince. Dal momento che lavora su quantità di dati enormi, Google obbedisce a un tropismo totalitario, inghiotte e digerisce. Da qui nasce il progetto di scannerizzare tutti i libri, di analizzare tutte le tipologie di materiali: cinema, televisione, stampa; oltre questo limite, il bersaglio logico della googleizzazione è l’universo intero. Lo sguardo onniveggente percorre il globo, e legge avidamente ogni piccolo insieme di dati. Affidagli la tua catasta di documenti, e lui sistemerà ogni cosa al suo posto – e sistemerà anche te, che per l’eternità non sarai altro che la somma dei tuoi clic. Google un Grande Fratello? Come non pensarlo? Per questo deve presentarsi come fondamentalmente buono. È cattivo? Di sicuro è stupido. Se le risposte che appaiono sullo schermo sono moltissime, è perché le legge appena. L’impulso iniziale è fatto di parole, e le parole hanno più di un senso. Ma il senso sfugge a Google, che codifica, ma non decifra. Memorizza le parole nella loro materialità bruta. Tocca sempre a te, quindi, trovare nel pagliaio l’ago di quel che realmente cercavi.
Google sarebbe intelligente se si potessero processare i significati. Ma non è possibile. Come un Sansone rasato, Google continuerà ciecamente a macinare fino alla fine dei tempi.

di Jacques-Alain Miller- tratto da “Nuovi miti d’oggi”, Isbn Edizioni, 2008
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Google ci rende idioti?

È iniziato da alcuni mesi un dibattito che tocca l’uso delle ICT in ambito cognitivo, per rapporto ai vantaggi e agli svantaggi che questo impiego comporta. In grandi linee, ci si interroga sul fatto che l’uso di internet renda più o meno idioti. Tutto è partito da Nicholas Carrche ha pubblicato un saggio su “The Atlantic” (poi tradotto in italiano da “Internazionale, no. 751), ripreso da “Der Spiegel”, da “Le Temps” e continuato in molti blog. Al tema ho già dedicato un post nel quale accennavo al fatto (M. McLuhan dixit) che il canale comunicativo e l’informazione veicolata modificano il modo di pensare e l’organizzazione cognitiva. Carr, non nascondendo le opportunità offerte dai servizi dell’internet (e dal web in particolare), afferma che attraverso l’uso intensivo di questi servizi diventiamo idioti, non siamo più in grado di concentrarci, ci facciamo dispersivi e ci limitiamo ad attenzioni ridotte e a letture sempre più corte.
Naturalmente ringrazio Carr di avere iniziato il dibattito, poiché esso dimostra che siamo effettivamente a un tornante epocale per quanto attiene alla trasmissione, all’organizzazione e alla fruizione (anche in senso cognitivo) delle informazioni. Da anni, diversi lo sottolineano. Al tema ho già dedicato diversi post in cui descrivo come i servizi dell’internet ci rendono (più o meno) intelligenti e di come è emerso (in senso sistemico) un nuovo artefatto cognitivo. Appare evidente che il dibatto ha il merito di cogliere e criticare questo tornante epocale nell’ambito comunicativo e cognitivo.
Riprendo in sintesi quanto ultimamente di interessante è stato detto o scritto sul tema. Dillenbourg (EPFL) parla di protesi offerta dall’insieme di questi servizi, protesi che si sostituisce ad alcune nostre capacità ma, nel contempo, ci rende maggiormente performanti. Panese (Uni Losanna) è del mio stesso parere e cioè che la tecnologia modifica, essendo un artefatto cognitivo, il nostro modo di ragionare. Koch (insegnante ICT) sottolinea che è giunto il momento di accettare la diversità dei supporti conoscitivi che si aggiungono ai libri.
Come gente di scuola, non possiamo comunque non vedere nel presente dibattito le opportunità e i pericoli che questi servizi ICT mettono a disposizione e fanno emergere per rapporto agli studenti che le usano come “nativi digitali”.
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